Ci troviamo ormai da anni in una crisi economica che ha tutti le caratteristiche della cronicità: tassi di crescita bassi, anzi bassissimi, con sempre più frequenti shock recessivi; potere d’acquisto delle famiglie molto ridimensionato rispetto a solo 20 anni fa; una disoccupazione diffusa, soprattutto quella giovanile e di lungo termine, a causa della quale una moltitudine di “non più giovani” non ha mai conosciuto il piacere di un’occupazione stabile; un clima sociale che anche e soprattutto per questo è diventato pesante, divisivo, violento, per ora nei toni, domani chissà… Il modello capitalistico, uscito vincente dal confronto con il comunismo “reale”, (più che altro.. un non-comunismo alla prova dei fatti), si è auto-sfaldato sotto i colpi della globalizzazione, corrodendosi dall’interno con la sua stessa arma: il liberismo. La somma dei debiti pubblici e privati nei paesi industrializzati supera il valore della produzione annuale, cosa che per una qualunque azienda significa portare i libri in tribunale. Ce ne sarebbe abbastanza per indurci a ripensare totalmente l’idea sottostante i sistemi economici e politici di buon parte del globo terracqueo, cosa che non è possibile fare perché la politica non esiste più, sostituita da un bieco leaderismo populista del “tanto a chilo”. Sullo sfondo Goldman Sachs, la Commissione Trilaterale, gruppo Bilderberg e chissà cos’altro muovono i fili delle marionette governando, realmente, gli eventi mondiali e le grandi trasformazioni in atto.
Che fai? Cambi il senso del blog? Anticipo la domanda del mio occasionale lettore e ridimensiono subito la portata di questo post. Non parleremo qui di equilibri mondiali.
Sgombrato il campo da questo sospetto, vorrei soffermarmi, da profano, su alcuni elementi che riguardano il mondo produttivo e specificamente il mondo del lavoro. Ho passato gli ultimi 15 anni prima per metà tra il rapporto di lavoro dipendente e l’autonomo, poi decisamente e solo in un contesto di lavoro autonomo. Ma quello che ho visto e quello che percepisco e colgo intorno a me è che il lavoro dipendente è raramente un luogo di felicità.
Che c’entra con le sorti dell’economia mondiale? C’entra eccome, perché la produttività del lavoro è direttamente proporzionale alla soddisfazione del lavoratore, al suo piacere di lavorare, all’energia e all’entusiasmo che apporta all’azienda, al senso di appartenenza, alla capacità di stimolare per primo innovazione e immettere creatività. E in tempi di vacche magre anche questo è un fattore che fa la differenza, anzi, forse può essere decisivo…
Si fa un gran parlare di team working e motivazione ma il tecnicismo organizzativo non può sostituire la valorizzazione della persona-lavoratore/trice a tutto tondo. Mi è capitato tra le mani in questi giorni uno scritto di un vecchio amico ex-ferroviere, studioso ed esperto di Sistemi Qualità, via via impegnato nelle sue scorribande intellettuali sempre più a 360° e sempre più anche al di fuori dei circoli di ferrovieri ed ex-ferrovieri. Lui cita spesso la Regula Benedicti e allora voglio riproporla anche io per una volta, prima di ritornare a parlare di studi, di statistiche e di numeri. Secondo Sergio (Bini) “La Regula Benedicti può essere considerata la “madre” dei Sistemi di Gestione per la Qualità, della Qualità Totale (il Total Quality Management) e dei moderni modelli internazionali di gestione delle organizzazioni per l’Eccellenza sostenibile.” E ancora “sono moltissime le “lezioni” in essa contenute che si ritrovano sia nei modelli di gestione per la Qualità più avanzati sia nelle migliori organizzazioni; la Regula Benedicti, quindi, costituisce una guida di sapienza perennemente per l’uomo di sempre, utile per poter: i) comprendere meglio sia la persona che il gruppo“, ii) costruire un processo virtuoso nel gruppo, cioè un miglioramento continuo dei singoli, della comunità, dell’organizzazione e di tutte le attività svolte”. Per poi descriverne i principi fondanti, ovvero: a) la leadership umile, b) l’organizzazione, intesa prima di tutto come comunità che ascolta e che pone la persona al centro dell’attenzione di tutti, c) un modello culturale per riscoprire un nuovo futuro riuscendo a gestire il tempo-kayròs, senza farsi schiacciare dal tempo-chrònos, oltre a altre caratteristiche che qui ometto perché secondarie rispetto al discorso che voglio sviluppare.
Il tema centrale, a mio avviso smarrito, dall’odierna organizzazione del lavoro è la centralità della persona, chiamata non a caso “risorsa” e inserita in un sistema di regole spesso a lei aliene, in un sistema simbolico di riferimento spesso estraneo al proprio, utilizzata a volte in modi e con finalità incompatibili con la sua essenza e il suo potenziale di contribuzione alla crescita dell’azienda e della società. E’ una questione centrale, perché se è vero che la forza lavoro è una risorsa non si capisce per quale motivo debba essere svalutata e messa in condizioni di non-contribuire alla crescita del bene-comune-azienda.
Ogni persona ha la sua mappa del mondo, ovvero il sistema di valori, la sua identità e ruolo percepito, il suo modo di percepire e interpretare gli eventi. In base a tale mappa essa attribuisce un significato agli eventi, mette in atto determinati comportamenti, spesso in reazione agli eventi esterni, altre volte giocando invece di anticipo in modo proattivo. Un elemento basilare del modo nel quale una persona opera nel mondo o trova la motivazione per agire sono i metaprogrammi.
I metaprogrammi sono programmi inconsci che agiscono sulle nostre percezioni, spingendoci a prestare attenzione a qualcosa piuttosto che a qualcos’altro. Leslie Cameron-Bandler e Rodger Bailey studiarono a fondo i metaprogrammi e grazie al loro lavoro siamo in grado di individuare i principali filtri percettivi delle persone, quindi anche dei lavoratori, anche attraverso un questionario ben costruito. E qui arriviamo al dunque, dato che SavoldelliRicerche sta sviluppando un proprio modello proprietario per rilevare i metaprogrammi di una persona nel contesto del lavoro e per individuarne sia le potenzialità e capacità “innate” che il sistema simbolico di riferimento.
Potremo sapere per esempio se una persona è proattiva o reattiva; se renderà di più lavorando in un team o con gradi crescenti di autonomia; quali sono i valori e parole-chiave che la motivano automaticamente; se si trova a proprio agio a seguire regole e procedure ben definite o se piuttosto trova irresistibile il poter cambiare o rompere le regole in modo creativo e magari, se ben indirizzato, produttivo e vincente; se accetta il cambiamento e in che misura; quale reazione ha allo stress; quale è il suo sistema di regole; attraverso quali meccanismi si convince della bontà di un’idea o di un metodo di lavoro; quale è il suo sistema simbolico di riferimento; quali le potenzialità innate; quale tipo di intelligenza mette in campo per risolvere i problemi.
Tutte informazioni che possono essere utilizzate in azienda per migliorare la selezione e la gestione delle risorse umane. Le principali applicazioni sono:
- Selezionare candidati appropriati per posizioni lavorative, per esempio definendo in modo dettagliato il profilo ideale dei candidati, mixando gli elementi più significativi del nostro modello alle competenze, al ruolo da svolgere, alle esperienze maturate richieste dall’azienda
- Riorganizzazione di team lavorativi
- Ricollocazione di dipendenti e collaboratori
- Comunicazione interna più efficace.
Come vedremo in successivi post le applicazioni possibili riguardano pure il marketing e la comunicazione pubblicitaria. Immaginiamo per esempio cosa possa significare conoscere i metaprogrammi prevalenti della propria clientela, potendo così utilizzare un appropriato “linguaggio di influenza” nelle comunicazioni pubblicitarie.
Si tratta di un’area di ricerca ancora poco diffusa in Italia, che porta il contributo della ricerca e della statistica ben oltre le sempre attuali indagini di clima e di employee satisfaction.
Ne parleremo diffusamente nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.
Link al Blog di Sandro Savoldelli – ricercatore di marketing ⇒